ISTAMINA NEL TONNO, IL RISCHIO CRESCE IN ESTATE. Precauzioni nell’acquisto
- Bruna Turchi
- 28 ago 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Con l’estate, si aggravano i problemi di sicurezza legati alla cattiva conservazione del tonno da parte dei pescatori o dei rivenditori. Subito dopo essere stato pescato, il pesce va conservato a una temperatura tra zero e quattro gradi, altrimenti il rischio è che si formi l’istamina, una sostanza incolore e insapore, che non si elimina neppure con la cottura e che si genera naturalmente in seguito alla degradazione dell’istidina, un amminoacido abbondante nel tonno e altri pesci della stessa famiglia come sgombri e sardine, soprattutto in caso di cattiva conservazione. L’istamina può provocare la sindrome sgombroide, un’intossicazione caratterizzata da arrossamento, prurito, mal di testa, difficoltà a deglutire, nausea, vomito e diarrea.

Nel solo mese di giugno, in Sicilia si sono registrati una sessantina di casi di intossicazione da istamina in persone che avevano mangiato tonno, mentre i carabinieri del Nas, le capitanerie di porto e i veterinari delle aziende sanitarie siciliane hanno sequestrato circa 12 tonnellate di tonno rosso, per un valore di oltre 200.000 euro. L’origine del problema sta in una furbizia fiscale risalente a 18 anni fa, a cui oggi ne conseguono altre a danno dei consumatori. Come ha spiegato a Repubblica Giovanni Basciano, responsabile siciliano del settore Pesca di Agci (l’associazione generale delle cooperative italiane), “tutto nasce alla ripartizione delle quote tonno fatta nel 2000 dall’Unione europea. I pescatori siciliani, per pagare meno tasse, dichiararono di aver pescato meno tonno rispetto alle quantità reali.
E siccome la distribuzione si faceva sulla media del pescato, sono state assegnate pochissime quote”. E così oggi, per eludere i controlli, il tonno rosso pescato in eccesso rispetto alle quote assegnate, invece di essere ributtato in mare, capita che venga nascosto tra le rocce, lasciato in fondo al mare o nelle barche, e recuperato nelle ore notturne dopo essere stato esposto anche per lungo tempo a temperature ben superiori ai quattro gradi. La raccomandazione delle autorità sanitarie è di acquistare il pesce sempre da rivenditori autorizzati, dotati di celle frigorifere, chiedendo la tracciabilità documentata del prodotto.
Ma il problema dell’istamina nel tonno non riguarda solo la Sicilia, dove quello rosso viene pescato proprio in estate. In luglio, come riferito da Il Fatto Alimentare, il Ministero della Salute ha richiama un lotto di tonno a pinne gialle congelato, venduto in un negozio del Mercato Generale di Bolzano e proveniente dall’Indonesia, che presentava alti livelli di istamina. E che il problema sia internazionale è dimostrato dal rapporto pubblicato lo scorso ottobre dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) sulle centinaia di casi di intossicazione causati dall’eccesso di istamina nel tonno proveniente da fornitori spagnoli e messicani, che negli ultimi anni hanno colpito consumatori europei, in particolare in Spagna, Italia, Francia, Croazia e Danimarca.
E proprio a partire dai ventidue casi, di cui dieci in Italia, di intossicazione dovuti al consumo di filetti di tonno proveniente dalla Spagna, segnalati nel 2017 dal sistema di allerta rapido europeo (Rasff), Altroconsumo ha realizzato un’inchiesta, pubblicata in maggio, per verificare lo stato di salubrità dei filetti di tonno venduti in Italia.
Dalle analisi di laboratorio condotte su 36 campioni di tonno acquistati presso supermercati, pescherie, banchi dei mercati rionali, sushi corner e alcuni ristoranti di Roma e Milano, è emerso che il problema dell’istamina nel tonno permane, anche se non è molto diffuso, almeno in queste due città. Il caso più eclatante riguarda un campione di tonno acquistato in una pescheria di Roma, che aveva un tenore di istamina talmente elevato (1.172 mg/kg, a fronte di un limite massimo di legge di 200 mg/kg) da far supporre un rischio per la salute dei consumatori che abbiano consumato quel prodotto.
Quattro campioni con presenza di nitrati e nitriti denotavano l’uso improprio di questo tipo di additivi, che consentono di garantire un aspetto appetibile del pesce, al di là della sua reale freschezza. I filetti di tonno incriminati erano stati acquistati presso un mercato rionale e due ristoranti di Milano e in un supermercato di Novate Milanese. Inoltre, in almeno quattro casi era stato venduto tonno obeso al posto del dichiarato tonno a pinne gialle, molto più pregiato e dunque di valore e prezzo superiore.
Dall’inchiesta di Altroconsumo emerge però anche una nota positiva, che riguarda il mercato ittico di Milano, che è il centro di smercio di pesce fresco all’ingrosso più importante d’Italia. All’interno della struttura i controlli sanitari sono diretti da più di trent’anni dal veterinario Renato Malandra, che lo definisce “un esempio virtuoso, di alta qualità, dove sono state create negli anni buone pratiche che ora sono comuni a tutti i commercianti che vogliono lavorare qui, come l’autocontrollo con appositi test rapidi per verificare i valori di istamina nei tonni che arrivano dai diversi fornitori. Non tutto il pesce in commercio però passa da qui. Per esempio, la grande distribuzione si rifornisce attraverso altri canali”.
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